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Il giornalista perduto (prima parte)
Era mattina tardi e Roberto faticava a svegliarsi. Era dovuto alle ore piccole che aveva fatto e all’abuso di alcool che consumava quasi regolarmente ogni giorno alla fine del suo lavoro, dalle due alle cinque di mattina. Quando il giornale andava in stampa era solito portarsi al Creme Caramel e annegare nel vino o birra che fosse le fatiche del suo lavoro da giornalista. Era poi difficile alzarsi prima di mezzogiorno. Ma quel giorno erano le tre di pomeriggio e sebbene il suo telefono cellulare stesse suonando non riusciva proprio a svegliarsi. Ed era strano che riuscisse a vedere il proprio corpo disteso con piena consapevolezza, ma che sebbene ne avesse l’intenzione questo non seguisse le sue disposizioni. Non era preoccupato di questa situazione ma annoiato.

Ad un certo punto intorno alle sei di pomeriggio la porta fu aperta forzatamente e Malcom il vicecapo redattore e suo amico storico, irruppe nella stanza constatando che il corpo di Roberto era privo di vita. Dovette allora comprendere che lui, la vita, erano qualcosa di distinto e in questa nuova dimensione strana e molto particolare, aveva qualcosa da fare. Sentiva che c’era una sorta di scadenza, come quando doveva finire un articolo e Malcom lo chiamava a rapporto per inserirlo nella sua rubrica di cronaca nera; era consapevole di una scadenza, di un appuntamento. Fu in quel momento che una luce lo abbagliò sul davanti invitandolo in modo quasi gentile a cui non poteva resistere, ad una ascesa verso l’alto. In un tempo non facile da stimare si trovò in mezzo ad una lunga fila di persone in uno scenario poco chiaro, in cui preoccupazione o altre emozioni erano inesistenti. Per esempio, nonostante la lunga fila non c’era quella protesta naturale che sorgeva per il tempo perso. Vero era che lui in quelle situazioni abusava del suo tesserino da giornalista e in tono perentorio scavalcava la fila portandosi alla prima posizione incurante se qualcuno protestava o no. Ma lì non solo non trovava il suo tesserino, ma era poco interessato a correre al primo posto. Era circondato da una pace e tranquillità che gli permettevano di stare in fila e procedere tutto sommato speditamente.
Finalmente arrivò il suo turno. L’addetto guardò l’elenco che veniva spuntato e si fermò un attimo come impreparato. “Lei è Roberto Franco Rigamonti?” “Sì”, risposte Roberto che poco amava l’uso del suo nome completo. “Era un giornalista?” “Certo, lo sono ancora” rispose quasi scocciato. “Beh, quello che lei è ora a me non interessa. Devo invitarla a sedersi perché non sapevo del suo arrivo e devo chiamare la commissione”.